Il WWF ha oggi aderito per la prima volta nella sua storia a uno sciopero sindacale,quello di stamane dei lavoratori del comparto delle rinnovabili promossa da Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil, e al sit-in davanti a Montecitorio promosso da SOS Rinnovabili. «Il decreto fisserebbe un tetto massimo legato all’obiettivo, quando oggi come oggi ogni risultato superiore alle attese sulle rinnovabili andrebbe auspicato e promosso. Inoltre non verrebbero garantiti gli investimenti pregressi», spiega Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia.
«Questo è ancor più importante nel momento in cui il Governo cerca di evitare il referendum abrogando le norme che miravano a riaprire al nucleare: occorre decarbonizzare l’economia e la produzione energetica investendo sulle vere soluzioni, il risparmio, l’efficienza energetica e le energie rinnovabili”.
Secondo il Wwf la bozza Romani non supera i timori avanzati dal Commissario europeo per l’Energia, Gunther H. Oettinger, al Governo italiano sulle modifiche per gli incentivi al fotovoltaico, e non risponde all’invito “ad intraprendere ogni sforzo per attuare la direttiva 2009/28/CE in maniera stabile e prevedibile e di essere particolarmente cauto nel considerare misure che possano avere ripercussioni sugli investimenti già effettuati”.
«Le modifiche alla disciplina degli incentivi per le rinnovabili che compromettono direttamente o indirettamente investimenti in corso sollevano serie preoccupazioni tra gli investitori, sia nazionali che internazionali – afferma Oettinger rivolgendosi al ministro Romani nel documento, pubblico, citato dal Wwf −. Le conseguenze di tali modifiche sugli investimenti nel settore europeo delle rinnovabili destano la mia preoccupazione. Con la direttiva 2009/28/CE, l’Unione Europea si è impegnata ad aumentare la quota di energia da fonti rinnovabili nel proprio mix energetico, fissando obiettivi nazionali obbligatori per il 2020. Grazie a tale strategia potremmo contenere i cambiamenti climatici, migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e promuovere lo sviluppo industriale».
In particolare, per quanto riguarda il nostro Paese, secondo Oettinger, «l’Italia è tenuta a raggiungere la quota del 17% dei consumi finali lordi di energia da fonti rinnovabili entro l’anno 2020» e pertanto «risulta fondamentale che il governo italiano crei quanto prima un quadro interno d’incentivazione chiaro, stabile e prevedibile per garantire lo sviluppo delle rinnovabili, senza correre il rischio che i necessari investimenti privati siano rimandati e diventino più costosi, ostacolando cosi il raggiungimento del suddetto obiettivo».
«L’ambiguità della linea seguita da Confindustria su questa materia, con l’inedita richiesta di ridimensionamento degli incentivi verso un comparto energetico-industriale – conclude Midulla – rischia di provocare un conflitto tra le parti sociali dei vari comparti». Il riferimento è all’annuncio di alcune imprese, tra cui la El.Ital, leader in Italia nella produzione di pannelli fotovoltaici con uno stabilimento ad Avellino e a Saint Etienne in Francia, di voler uscire da Confindustria perché l’associazione degli industriali non ha saputo tutelare nelle sedi appropriate gli interessi delle aziende del settore.
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Bioimpresa
Progettare ricordandoci dell'ambiente
mercoledì 14 dicembre 2011
lunedì 12 settembre 2011
Spagna. Una biologa chiamata a gestire il ministero della Scienza e dell'Innovazione
"Adelante, in Spagna siamo nel miglior momento. La biotecnologia e' un settore che ha un futuro". E' questo il consiglio che la ministraCristina Garmendia dara' a un giovane con la vocazione scientifica. Questa signora di 46 anni di Donostia-San Sebastian, premiata per il suo spirito imprenditoriale in campo biotecnologico e biomedico, punto di riferimento per la biotecnologia spagnola, e' stata incaricata dal presidente Rodriguez Zapatero a gestire la scienza e la tecnologia nella nuova tappa del Governo socialista e ad affrontare le sfide in questo campo.
Lauretata in Biologia molecolare all'Universita' Autonoma di Madrid (UAM), ha preparato la sua tesi di dottorato sotto la direzione di Margarita Salas al Centro di Biologia Molecolare "Severo Ochoa" dell'UAM. Il suo lavoro si e' incentrato sullo studio del potenziale terapeutico delle cellule staminali adulte (derivate dal grasso corporeo), convinta -diceva- che quello fosse il futuro. E' presidente dell'Associazione spagnola di Bioimprese e master in Direzione d'Impresa per IESE, titolo che le e' servito per avviare progetti imprenditoriali ambiziosi e rilevanti.
Collegata al circolo delle alte cariche del Centro superiore di ricerche scientifiche (CSIC) e della Autonoma, la sua attivita' professionale, contraddistinta dalla pratica gestionale, l'ha portata a creare il Grupo Genetrix, la prima azienda nata in ambito CSIC e per la quale ha ottenuto risorse importanti. Si tratta di una holding di imprese nel settore della biomedicina. Alcuni le rimproverano d'aver abbandonato il campo puramente scientifico per dedicarsi a quello imprenditoriale, anche se riconoscono in lei una donna imprenditrice.
Nel suo Governo, formato da nove donne ministro e otto uomini, Zapatero ha anche riconfermatoBernat Soria, uno dei massimi ricercatori mondiali con le staminali, al ministero della Salute.
Fonte
Lauretata in Biologia molecolare all'Universita' Autonoma di Madrid (UAM), ha preparato la sua tesi di dottorato sotto la direzione di Margarita Salas al Centro di Biologia Molecolare "Severo Ochoa" dell'UAM. Il suo lavoro si e' incentrato sullo studio del potenziale terapeutico delle cellule staminali adulte (derivate dal grasso corporeo), convinta -diceva- che quello fosse il futuro. E' presidente dell'Associazione spagnola di Bioimprese e master in Direzione d'Impresa per IESE, titolo che le e' servito per avviare progetti imprenditoriali ambiziosi e rilevanti.
Collegata al circolo delle alte cariche del Centro superiore di ricerche scientifiche (CSIC) e della Autonoma, la sua attivita' professionale, contraddistinta dalla pratica gestionale, l'ha portata a creare il Grupo Genetrix, la prima azienda nata in ambito CSIC e per la quale ha ottenuto risorse importanti. Si tratta di una holding di imprese nel settore della biomedicina. Alcuni le rimproverano d'aver abbandonato il campo puramente scientifico per dedicarsi a quello imprenditoriale, anche se riconoscono in lei una donna imprenditrice.
Nel suo Governo, formato da nove donne ministro e otto uomini, Zapatero ha anche riconfermatoBernat Soria, uno dei massimi ricercatori mondiali con le staminali, al ministero della Salute.
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mercoledì 3 agosto 2011
Piccole imprese e green economy | Indagine sulla riduzione dell’impatto ambientale
Le piccole imprese italiane sono pronte a contribuire alla sfida della crescita sostenibilelanciata dall’Unione Europea nella Strategia Europa 2020[1]? Sono pronte, cioè, a contribuire alla costruzione di un’economia a basse emissioni di CO2? È una questione di tutela dell’ambiente, ma anche di crescita economica. Lagreen economy, infatti, offre una duplice occasione alle imprese: quella di risparmiare (e liberare) risorse economiche, aumentando la propriaefficienza energetica, e quella di approfittare delleoccasioni imprenditoriali offerte da un nuovo mercato, quello “eco”.
La riduzione dell’impatto ambientale delle piccole imprese è uno dei tanti tasselli individuati dall’Unione Europea all’interno della Strategia Europa 2020. Lo conferma un recente studio – “PMI: affrontare la sfida verde[2]”, dove la Commissione Europea ha formulato una serie di raccomandazioni utili alle imprese e agli attori politici.
Fondazione Impresa ha cercato di capire attraverso un’indagine a un campione di 600 piccole imprese manifatturiere quanto stiano rispondendo alla sfida della riduzione dell’impatto ambientale.
RISULTATI | 1/3 delle piccole imprese manifatturiere (33,0%) negli ultimi due anni ha introdotto o utilizzato tecnologie finalizzate alla riduzione dell’impatto ambientale. Un dato incoraggiante che riguarda le regioni centrali (35,3%), poi quelle nord-occidentali e meridionali (32,7%) e infine quelle nord-orientali (31,3%).
TECNOLOGIE | In particolare, le piccole imprese italiane sembrano preferiretecnologie eco-compatibili “semplici” ai sistemi di gestione ambientale certificati, poco incentivati, forse considerati troppo costosi e complessi. Hanno preferito, infatti, acquistare macchinari a basso consumo (27,3%), soprattutto nelle regioni settentrionali (Nord Ovest 36,7% e Nord Est 31,9%), ridurre gli imballaggi o utilizzare materiali riciclati (25,8%), soprattutto nelle regioni centrali (32,1%) e installare pannelli fotovoltaici (19,2%), soprattutto nelle regioni meridionali (30,6%) e nord-orientali (23,4%). Minore è la quota di piccole imprese che ha riqualificato gli edifici (18,7%) e che ha introdotto sistemi di gestione ambientale (16,7%).
mercoledì 22 giugno 2011
Mense aziendali: meno carne e più uova bio
Da tempo si cerca di inserire dei prodotti più sani e genuini nei pasti delle mense aziendali, ma fino ad oggi i risultati sembrano piuttosto scarsi ed, inoltre, non tutti gli uffici adottano scelte che li portano alla preferenza di cibo davvero legato alla nostra tradizione e non carico di grassi. Il risultato è che, oltre ad ingrassare e a lungo andare accusare disturbi, i dipendenti si appesantiscono troppo e il ritorno al lavoro appare traumatico. Al momento, sembra farsi strada una nuova opzione, che sarebbe quella di introdurre meno carne e più uova bio soprattutto nelle strutture legate alla pubblica amministrazione. Si tratta del “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale sui consumi della PA”, con cui il ministero dell’Ambiente promuove un menu più vegetariano. In tal modo, accoglie anche le richieste della LAV, la Lega Antivivisezione che da tempo chiedeva maggior rispetto per il benessere animale, pure per limitare l’impatto ambientale prodotto dagli allevamenti intensivi. Il documento dovrà essere tradotto in un decreto ministeriale nelle prossime settimane.
Fonte
Il tutto, ovviamente, seguendo alla lettera le direttive europee e rispettando i criteri legati alla scelta di bene e servizi che non danneggino in alcun modo la natura. Si presterà attenzione, quindi, anche agli incarti oltre che ai prodotti alimentari, tanto per cominciare ma l’elenco è piuttosto lungo. Le società erogatrici dei servizi, dal canto loro, avranno l’obbligo di fornire informazioni su alimentazione, salute e ambiente e ridurre i consumi di carne, pure per limitare l’impatto ambientale che l’allevamento animale causa. Le uova, invece, devono provenire da agricoltura biologica e la quota di uova non bio deve essere acquistata da allevamenti all’aperto. Mai più, quindi, la scelta di quelle provenienti da galline allevate in gabbia, in applicazione alla Direttiva europea 74/1999, che vieta una pratica che fa soffrire gli animali.
Le ditte che rispetteranno tali criteri si aggiudicheranno maggiori punteggi nelle gare di appalto per l’assegnazione di servizi di ristorazione e di fornitura di prodotti alimentari. Molto contente Roberta Bartocci e Paola Segurini del settore Vegetarismo della Lavle quali hanno detto: “I nostri suggerimenti sono stati accolti e questo per noi rappresenta un notevole riconoscimento. Il documento del ministero è un importante strumento per favorire l’adozione di menu vegetariani nella ristorazione collettiva”.
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domenica 12 giugno 2011
In Toscana la pausa pranzo in azienda è bio
In Toscana come in tantissime altre regioni italiane, gli abitanti per via del lavoro sono costretti a restare per quasi tutto il giorno fuori casa e a consumare pasti meno genuini di quelli preparati in casa. Non tutti possono contare sullemense aziendali e anche qui, raramente si presta particolarmente attenzione agli ingredienti utilizzati per le pietanze. Il risultato è l’assunzione smoderata di grassi e l’aumento di peso, la stanchezza nel pomeriggio ed un senso di pesantezza immediata. I cibi super calorici a lungo andare possono risultare anche periocolosi per la salute e queindi è davvero urgente per intervenire e cambiare le cose. Potrebbe, però, essere arrivato il momento di cambiare, grazie ad un provvedimento preso direttamente dalla Regione Toscana. Ha promosso, infatti, il progetto Pranzo sano fuori casa,che sin dall’inizio ha coinvolto le associazioni di categoria del commercio e quelle dei consumatori. Tutti sono contenti della possibilità di cibarsi di prodotti di qualità ed, infatti, tale alternativa sembra già essere un successo.
Le imprese interessate ad associarsi all’iniziativa sono sempre di più, anche perchè non è difficile vedere un futuro roseo dietro. Fino a questo momento, le strutture che hanno confermato la loro presenza sono 420. Tutte quelle già inserite nel progetto hanno iniziato a ricevere il materiale per il proprio esercizio di tale attività. Si va, dunque, dalla vetrofania, al cartello vetrina, alla locandina, fino ai gadget promozionali.Si è quindi già passati alla seconda fase con una campagna dicomunicazione rivolta ai consumatori. Questi ultimi potranno scegliere i ristoranti dove fare un pasto sano, facilmente riconoscibili grazie al logo identificativo della campagna.
L’iniziativa “Pranzo sano fuori casa”, è stata presentata al pubblico nelle scorse ore ed è utile a conciliare lavoro e salute e magari di esempio a molte altre regioni e città del Belpaese. Per controllare le aziende che hanno aderito al progetto, si può visionare l’elenco sul sito della Regione Toscana, nelle pagine dedicate al progetto:http://www.regione.toscana.it/pranzosanofuoricasa
martedì 5 aprile 2011
VERSO LA BIO IMPRESA? CAPIRE L'AZIENDA COME SISTEMA VIVENTE PER GESTIRE IL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO
Dove sta, se esiste, il confine tra vita e non-vita? È una domanda che negli ultimi decenni la riflessione scientifica e filosofica ha continuato a porsi, lontano dai clamori mediatici. Arrivando a conclusioni nuove e, in parte, sorprendenti. Una di esse è che se esiste un limite che interessa più le scienze naturali – tra materia inanimata e materia vivente – ne esiste anche uno, più sfumato, che interessa le scienze umane. È il limite tra le forme biologiche e quelle che tendono a comportarsi come tali, le strutture sociali.
In che misura queste ultime possono considerarsi davvero “viventi”? È solo una metafora, oppure, in quanto macrorganismi formati da viventi, le strutture sociali e le organizzazioni vanno considerate in qualche misura letteralmenteviventi anch’esse? A partire dagli anni Novanta si è delineato un nuovo orizzonte concettuale che tende a unificare la comprensione dei fenomeni biologici e sociali ponendo in continuità i due limiti, per così dire, inferiore e superiore: un approccio sistemico che nasce dalla comprensione sempre più approfondita dei meccanismi della vita acquisita dalla biologia a partire da quegli anni.
In particolare, l’osservazione fa tramontare definitivamente l’identificazione del vivente con il dna: secondo un’intuizione chiave che si esprime nella teoria delle “strutture autopoietiche” di Humberto Maturana e Francisco Varela, le forme e le funzioni biologiche non sono determinate da un programma genetico, ma sono proprietà che emergono dall’intera rete.
È nella dinamica dei continui flussi di materia ed energia che si trova la caratteristica base dei sistemi viventi, che per questo da Ilya Prigogine definisce strutture dissipative. In particolare, la dinamica delle strutture dissipative include lo spontaneo emergere di nuove forme di ordine. In altri termini, la creatività – la generazione di nuove forme – è una proprietà chiave di tutti i sistemi viventi.
Proprietà che emergono dalla rete, flussi di materia ed energia, emergere di forme d’ordine, creatività: tutte caratteristiche che potremmo agevolmente attribuire anche ai sistemi sociali, quindi anche alle organizzazioni, aziende incluse. Tuttavia, affinché il parallelo possa andare oltre il limite dell’analogia manca ancora un tassello decisivo. Il progresso introdotto dalla visione sistemica è abbandonare la concezione cartesiana della “cosa” (il dna) per comprendere la vita essenzialmente come “processo” (l’autopoiesi): in questa visione trova collocazione coerente una concezione anche della mente come processo.
L’idea dei processi mentali era già stata sviluppata da Gregory Bateson negli anni Sessanta, ma la cosiddetta teoria di Santiago della cognizione, sviluppata da Maturana e Varela, si spinge molto oltre. L’intuizione centrale della teoria di Santiago è che la cognizione è l’attività dispiegata dalle reti viventi nei processi di autogenerazione e autoconservazione. In altre parole, il processo stesso della vita è un processo cognitivo: secondo la teoria dell’autopoiesi, un sistema vivente mantiene con il proprio ambiente interazioni ricorrenti, ciascuna delle quali innesca cambiamenti strutturali all’interno del sistema i quali, a loro volta, modificheranno il suo comportamento nelle interazioni future. Un sistema vivente è, insomma, un sistema che “impara”.
È evidente però che questo non è sufficiente per trasferire le nostre conoscenze della struttura materiale delle reti dal dominio biologico a quello sociale. Qui i nodi e i collegamenti della rete non sono più realtà puramente biochimiche. Le reti sociali sono innanzitutto reti di comunicazioni nelle quali entrano in gioco linguaggi simbolici, condizionamenti culturali, relazioni di potere e così via. Un orizzonte sistemico unificato per la comprensione dei fenomeni biologici e sociali può emergere soltanto sintetizzando i concetti della dinamica non lineare (in sostanza, le teorie della complessità) con questi diversi ambiti disciplinari.
Per riassumere questi ultimi aspetti in una prospettiva unitaria, possiamo dire che l’elemento centrale che distingue una rete sociale da una rete biologica è che la rete sociale ha un significato. Questo implica però una duplice natura delle organizzazioni umane. Da un lato, infatti, esse sono istituzioni sociali progettate per scopi specifici. Nel caso di un’azienda, per esempio, produrre valore per gli azionisti. Allo stesso tempo, esse sono comunità di persone che interagiscono l’una con l’altra costruendo relazioni, dando alle proprie attività un significato anche personale.
Un approccio innovativo per risolvere le problematiche del cambiamento organizzativo potrebbe risiedere nel comprendere i processi naturali di cambiamento che si realizzano in ogni sistema vivente. Comprendere le organizzazioni umane in termini di sistemi viventi – ossia in termini di reti complesse non lineari, come gli ecosistemi – può aiutarci a intuire più chiaramente la natura della complessità dell’odierno ambiente economico.
“I principi di organizzazione degli ecosistemi... sono identici ai principi dell’organizzazione di tutti i sistemi viventi” scrive Fritjof Capra in The Hidden Connections (2002, trad. it. La scienza della vita, Milano, Rizzoli, 2004). “Sembrerebbe quindi che la comprensione delle organizzazioni umane come sistemi viventi sia una delle sfide cruciali del nostro tempo”.
Uno dei principali ostacoli al cambiamento organizzativo è la concezione meccanicistica dell’azienda che ancora permea, spesso inconsciamente, i manager: la metafora della macchina non lascia spazio all’adattamento flessibile, all’apprendimento e all’evoluzione. Ciò che conta non è sapere se la “azienda vivente” sia solo un’utile metafora, o se invece le organizzazioni siano realmente dei sistemi viventi. Ciò che conta è che i manager imparino a pensare alle loro aziende come se si trattasse di esseri viventi. E gestirle di conseguenza, lasciando spazio a quella capacità generativa e creativa che è caratteristica intrinseca del vivente.
Fonte
In che misura queste ultime possono considerarsi davvero “viventi”? È solo una metafora, oppure, in quanto macrorganismi formati da viventi, le strutture sociali e le organizzazioni vanno considerate in qualche misura letteralmenteviventi anch’esse? A partire dagli anni Novanta si è delineato un nuovo orizzonte concettuale che tende a unificare la comprensione dei fenomeni biologici e sociali ponendo in continuità i due limiti, per così dire, inferiore e superiore: un approccio sistemico che nasce dalla comprensione sempre più approfondita dei meccanismi della vita acquisita dalla biologia a partire da quegli anni.
In particolare, l’osservazione fa tramontare definitivamente l’identificazione del vivente con il dna: secondo un’intuizione chiave che si esprime nella teoria delle “strutture autopoietiche” di Humberto Maturana e Francisco Varela, le forme e le funzioni biologiche non sono determinate da un programma genetico, ma sono proprietà che emergono dall’intera rete.
È nella dinamica dei continui flussi di materia ed energia che si trova la caratteristica base dei sistemi viventi, che per questo da Ilya Prigogine definisce strutture dissipative. In particolare, la dinamica delle strutture dissipative include lo spontaneo emergere di nuove forme di ordine. In altri termini, la creatività – la generazione di nuove forme – è una proprietà chiave di tutti i sistemi viventi.
Proprietà che emergono dalla rete, flussi di materia ed energia, emergere di forme d’ordine, creatività: tutte caratteristiche che potremmo agevolmente attribuire anche ai sistemi sociali, quindi anche alle organizzazioni, aziende incluse. Tuttavia, affinché il parallelo possa andare oltre il limite dell’analogia manca ancora un tassello decisivo. Il progresso introdotto dalla visione sistemica è abbandonare la concezione cartesiana della “cosa” (il dna) per comprendere la vita essenzialmente come “processo” (l’autopoiesi): in questa visione trova collocazione coerente una concezione anche della mente come processo.
L’idea dei processi mentali era già stata sviluppata da Gregory Bateson negli anni Sessanta, ma la cosiddetta teoria di Santiago della cognizione, sviluppata da Maturana e Varela, si spinge molto oltre. L’intuizione centrale della teoria di Santiago è che la cognizione è l’attività dispiegata dalle reti viventi nei processi di autogenerazione e autoconservazione. In altre parole, il processo stesso della vita è un processo cognitivo: secondo la teoria dell’autopoiesi, un sistema vivente mantiene con il proprio ambiente interazioni ricorrenti, ciascuna delle quali innesca cambiamenti strutturali all’interno del sistema i quali, a loro volta, modificheranno il suo comportamento nelle interazioni future. Un sistema vivente è, insomma, un sistema che “impara”.
È evidente però che questo non è sufficiente per trasferire le nostre conoscenze della struttura materiale delle reti dal dominio biologico a quello sociale. Qui i nodi e i collegamenti della rete non sono più realtà puramente biochimiche. Le reti sociali sono innanzitutto reti di comunicazioni nelle quali entrano in gioco linguaggi simbolici, condizionamenti culturali, relazioni di potere e così via. Un orizzonte sistemico unificato per la comprensione dei fenomeni biologici e sociali può emergere soltanto sintetizzando i concetti della dinamica non lineare (in sostanza, le teorie della complessità) con questi diversi ambiti disciplinari.
Per riassumere questi ultimi aspetti in una prospettiva unitaria, possiamo dire che l’elemento centrale che distingue una rete sociale da una rete biologica è che la rete sociale ha un significato. Questo implica però una duplice natura delle organizzazioni umane. Da un lato, infatti, esse sono istituzioni sociali progettate per scopi specifici. Nel caso di un’azienda, per esempio, produrre valore per gli azionisti. Allo stesso tempo, esse sono comunità di persone che interagiscono l’una con l’altra costruendo relazioni, dando alle proprie attività un significato anche personale.
Un approccio innovativo per risolvere le problematiche del cambiamento organizzativo potrebbe risiedere nel comprendere i processi naturali di cambiamento che si realizzano in ogni sistema vivente. Comprendere le organizzazioni umane in termini di sistemi viventi – ossia in termini di reti complesse non lineari, come gli ecosistemi – può aiutarci a intuire più chiaramente la natura della complessità dell’odierno ambiente economico.
“I principi di organizzazione degli ecosistemi... sono identici ai principi dell’organizzazione di tutti i sistemi viventi” scrive Fritjof Capra in The Hidden Connections (2002, trad. it. La scienza della vita, Milano, Rizzoli, 2004). “Sembrerebbe quindi che la comprensione delle organizzazioni umane come sistemi viventi sia una delle sfide cruciali del nostro tempo”.
Uno dei principali ostacoli al cambiamento organizzativo è la concezione meccanicistica dell’azienda che ancora permea, spesso inconsciamente, i manager: la metafora della macchina non lascia spazio all’adattamento flessibile, all’apprendimento e all’evoluzione. Ciò che conta non è sapere se la “azienda vivente” sia solo un’utile metafora, o se invece le organizzazioni siano realmente dei sistemi viventi. Ciò che conta è che i manager imparino a pensare alle loro aziende come se si trattasse di esseri viventi. E gestirle di conseguenza, lasciando spazio a quella capacità generativa e creativa che è caratteristica intrinseca del vivente.
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martedì 29 marzo 2011
Impresa agricola
L'imprenditore agricolo è quel tipo di imprenditore che per la legge italiana svolge un'attività d'impresa agricola, precisamente colui che esercita un'attività d'impresa elencata dall'art.2135 c.c., ovvero:
- coltivatore del fondo
- allevamento di animali
- selvicoltura
- attività connesse
Attività
Attività essenziali
In dottrina si parla di attività essenziali in presenza di coltivazione del fondo, allevamento di animali e selvicoltura. L'essenzialità è dovuta al fatto che in assenza questo tipo di attività non si può parlare di imprenditore agricolo.
Il secondo comma dell'art. 2135 del codice civile specifica che queste attività sono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Coltivazione del fondo
La più frequente delle attività agricole è la coltivazione del fondo, da considerare non più come l'attività nel campo (rimanendo escluse le coltivazioni in serra o la funghicultura), ma ormai come coltivazione, o meglio cura delle piante nel loro ciclo biologico, non necessariamente per intero. L'attività di cura deve essere costituita da più attività materiali, proprie del concetto di agricoltura (formate in genere da varie fasi come semina, aratura..). Per questi motivi è da escludere invece come attività agricola la mera raccolta di funghi[2].
Selvicoltura
La selvicoltura è la cura dei boschi, attività importante sia per l'apporto che queste aree, oggi a prescindere bene paesaggistico, danno a livello ambientale al territorio nazionale, sia per la loro produttività economica, in primis per la raccolta del legno. A questo scopo è bene individuare il criterio identificatore di questa attività, che deve necessariamente non alterare il ciclo biologico della vegetazione, non compromettendo a certi livelli la morte della pianta o di un intero gruppo di piante.
Nella selvicoltura è da considerare l'arboricoltura, ovvero la coltivazione di alberi in aree precedentemente prive o disboscate al fine di ottenere legno, frutti o beni ornamentali. Quest'attività non è compresa nell'attività tipica dei boschi (quindi non assoggettata alle regole forestali) ma è considerata attività agricola in senso stretto, nonostante la produzione di legna (e la relativa commercializzazione) siano elementi evidenti e primari.
Allevamento
L'allevamento di animali ha subito una corposa evoluzione non solo a livello tecnologico ma anche, e ovviamente di riflesso, a livello giuridico. Precedentemente si considerava infatti l'allevamento necessariamente collegato alla coltivazione del fondo o comunque correlato, anche perché gli animali erano massicciamente utilizzati nel lavoro dei campi. Con l'introduzione di veicoli, macchinari e trattori è stata operata col tempo una netta scissione tra la coltivazione del campo e l'allevamento, abbracciando parallelamente lo stesso metodo utilizzato per la coltivazione.
Si intende allevamento la cura di almeno una fase biologica di un animale, che comporta nella più tradizionale situazione la nascita e la crescita nonché la riproduzione dello stesso, ma non necessariamente tutte e tre le fasi. L'importante è che l'imprenditore ne compia almeno una. Non sarà imprenditore agricolo pertanto chi importa animali nutrendoli per breve tempo al solo scopo di rivenderli. A maggior ragione non lo sarà il cacciatore. Questa impostazione è stata fatta propria da un preciso atto normativo, stante anche la recalcitranza della giurisprudenza ad accettare la novità, contenuta nella D.Lgs. 228/2001.
Sono sorti due problemi a riguardo, poi risolti. Per primo, che genere di animali dovrebbe essere compresi nell'allevamento dell'imprenditore agricolo, ovvero se tutti o solo una parte. Si ritiene che sia da preferire la seconda ipotesi, in particolare per animali che, anche se non allevati su un fondo, potrebbero o dovrebbero esserlo.
Altra importante materia è quella dell'acquacoltura, allevamento di fauna acquatica sia in acqua dolce che salata, riconosciuto dal 2001 come impresa agricola a tutti gli effetti. Non va confusa però con la pesca, dato che quest'ultima presuppone la cattura dei pesci, e non la La pesca ha avuto un regime particolarmente tormentato, dato che in Italia non era considerata, alla stregua della caccia, un'attività agraria, mentre per l'ordinamento comunitario era inserita nel Protocollo I che definiva le attività da considerare agricole. Ne risultava un sistema discorde e contraddittorio, che escludeva lo status di impresa agricola all'imprenditore ittico per decidere controversie sottoponibili alla normativa nazionale, ed il contrario per materie riservate al diritto comunitario. La situazione è cambiata nel 2001 e con seguenti modifiche nel 2006, laddove il pescatore ed in genere l'imprenditore ittico non sono considerati imprenditori agricoli, ma sono perfettamente equiparati a quest'ultimo.
Attività connesse
L'imprenditore può essere definito agricolo anche qualora eserciti attività agricole connesse, ovvero quelle attività esercitate dallo stesso imprenditore, dirette alla manipolazione, alla trasformazione, alla conservazione, alla commercializzazione e alla valorizzazione dei prodotti ottenuti dalla coltivazione o dall'allevamento.
Le attività connesse hanno dei requisiti, in particolare quello della connessione con l'attività principale agricola, in mancanza della quale sarebbero attività essenzialmente di natura commerciale o industriale. La connessione, ovvero il legame di relazione ed interdipendenza[3], comporta che l'attività connessa, autonomamente commerciale, sia secondaria e derivi da quella agricola principale.
Altri requisiti individuati in dottrina sono l'unisoggettività dell'imprenditore, che deve essere lo stesso soggetto, e l'uniaziendalità dell'impresa, che si deve avvalere degli stessi mezzi e strumenti impiegati per l'attività principale. Per sintetizzare, un'unica e medesima impresa.
Le attività connesse si dividono in a prevalenza dei prodotti oppure a prevalenza delle attrezzature.
Ne derivano questi esempi:
- Se acquisto del latte da aggiungere alla mia produzione aziendale e lo trasformo in formaggio da vendere prevalgono i prodotti poiché compero, trasformo e vendo.
- Se con la mia motrice ed aratro vado ad arare il campo di un mio cliente, dopo avere arato il mio fondo, prevalgono le attrezzature, mi faccio pagare il lavoro e l’usura del mezzo.
L'agriturismo è la tipica attività agricola connessa, essendo un'impresa che offre servizi di per se commerciali (ristorazione, turismo, vendita di prodotti tipici, camere), ma con dei limiti. I prodotti offerti e trasformati devono essere per la maggior parte propri, mentre gli ospiti da accomodare in camera non più di dieci.
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